Lo screenshot indica il processo che consente di salvare sotto forma di immagini ciò che viene visualizzato sullo schermo di un computer o di uno smartphone.
Recentemente, la Suprema Corte si è pronunciata sul valore probatorio dello screenshot, Con la sentenza n. 8736 del 16.01.2018 – 22.02.2018, la V sezione penale, ha statuito che “in tema di prova documentale, il documento legittimamente acquisito in copia è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice, assumendo valore probatorio, anche se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto“. Tale documento, dunque, ha acquisito la natura di prova documentale pienamente utilizzabile.
Si legge in motivazione che “i dati di carattere informatico contenuti nel computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano tra le prove documentali e l’estrazione dei dati è una operazione meramente meccanica, sicché non deve essere assistita da particolari garanzie”.
Nel richiamarsi alla precedente pronuncia della III sezione penale della Corte di Cassazione – n. 48178 del 15.09.2017 -, gli ermellini hanno dunque ritenuto che “anche i fotogrammi scaricati dal sito internet “Google Earth” costituiscano prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell’articolo 234, co.1 c.p.p. o 189 c.p.p.“.
Appare sorprendente leggere nella motivazione della sentenza in oggetto che “l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico non costituisce accertamento tecnico irripetibile“, in considerazione della loro modificabilità ed appare altrettanto discutibile ritenere che “la possibilità di acquisire un documento e di porlo a fondamento della decisione prescinde dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o sia stato autenticato da un notaio“.
Ed invero, si ritiene che per poter utilizzare gli screenshot quale prova, sebbene atipica, si dovrebbe procedere in ossequio alla disciplina dettata dal codice di procedura penale in ordine ai mezzi di ricerca della prova. Si dovrebbe, dunque, procedere al sequestro dello smartphone o del computer e se ne dovrebbe analizzare il contenuto, effettuando anche la copia forense di tutti i dati ivi presenti.
Solamente in tal modo, infatti, si ha la certezza della genuinità del contenuto del materiale informatico.
A ciò si aggiunga che gli screenshot dei messaggi sono facilmente modificabili e manipolabili e, pertanto, non vi è nessuna garanzia della loro genuinità.
Sul punto, si evidenzia che proprio in considerazione della volatilità e fragilità dei dati informatici è intervenuta la L. 48/08 volta a garantire l’acquisizione di elementi di prova genuini ed attendibili ed a raggiungere l’obiettivo di salvaguardare, a tutela dei diritti della difesa, la possibilità del controllo dell’attività degli inquirenti, che deve concernere in primo luogo la verifica del metodo utilizzato per l’acquisizione.
Il legislatore ha indicato, infatti, la necessità di soddisfare alcune esigenze dirette a:
- Consentire la conservazione dei dati originali;
- Impedirne l’alterazione nel corso delle operazioni di ricerca delle fonti di prova;
- Garantire la conformità della copia all’originale, nonché la sua immodificabilità quando si proceda ad una duplicazione;
- Dotare di sigilli informatici i documenti appresi.
Alla luce di tali puntuali parametri stabiliti dal legislatore, l’unico modo per poter garantire l’autenticità dei dati informatici è quello di acquisire, mediante sequestro, l’apparecchio informatico dal quale procedere, successivamente, alle dovute verifiche in ordine ai suddetti canoni e, solamente in questo modo, procedere all’estrapolazione dei dati.
Ed invece, la Suprema Corte, nella pronuncia in oggetto, a spregio delle garanzie difensive, ha ritenuto che “l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico non costituisce accertamento tecnico irripetibile anche dopo l’entrata in vigore della legge 18 marzo 2008 n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo per la polizia giudiziaria di rispettare determinati protocolli di comportamento, senza prevedere alcuna sanzione processuale in caso di mancata loro adozione, potendone derivare, invece, eventualmente, effetti sull’attendibilità della prova rappresentata dall’accertamento eseguito”.
Cassazione sez. V, sentenza n. 8736 del 22/02/2018.