Barbara Berardi, nata a Napoli il 23 luglio 1972, è un avvocato penalista del Foro di Napoli, patrocinante in Cassazione. La pratica forense l’ha svolta presso lo studio dell’Avvocato Domenico Ciruzzi, ma negli anni ha arricchito le sue esperienze grazie allo studio e sacrifici. Dalla Scuola di Formazione e Specializzazione del Penalista, istituita dall’Unione delle Camere Penali Italiane – VII corso nazionale di “Deontologia e tecnica del penalista”, alla partecipazione all’incontro di studi sul tema: “Processo penale effettività e garanzie”, tenutosi a Roma, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura. Dall’esperienza come Presidente (nonché fondatrice), dal 2000 al 2012, dell’associazione “Unione Giovani Penalisti “, nonché componente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Napoli negli anni 2016-2017 alla professione di docente, negli anni 2010-2013, in materia di Diritto e Procedura Penale presso la scuola forense “Gaetano Manfredi” istituita dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, nonché di collaborazione con la IV cattedra di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II. Oggi Barbara svolge la sua professione in autonomia, con la preziosa collaborazione di due praticanti, il Dr. Dario Artigiano – abilitato alla sostituzione in udienza – ed il Dr. Biagio Ferrone. L’obiettivo dell’avvocato Barbara è la continua voglia di tutelare i diritti, troppo spesso calpestati ai danni dei “deboli”, coloro che non sanno in materia di diritto, come difendersi. Nella sua immaginazione il procedimento penale è come un percorso protetto, con campanelli d’allarme che suonano ogni qual volta viene lesa una garanzia posta dal nostro ordinamento a tutela dell’indagato o dell’imputato ed è proprio in quel momento che deve intervenire il difensore, per ristabilire la garanzia violata al fine di far sì che venga celebrato un giusto processo. Se dovesse pensare alle sue motivazioni, le viene in mente una frase del celebre giurista Andrea Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. L’avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce”.
Quali sono i tempi di un processo penale? E da cosa dipendono?
I tempi di un processo penale sono molto lunghi. Un processo può durare anche 7-8 anni ed è per questo che il 50% dei processi si chiudono con una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato. La causa di ciò è da ravvisarsi nelle disfunzioni del sistema giustizia.In particolare nella lungaggine dei tempi che la Procura della Repubblica impiega per espletare le indagini preliminari. Il 30% dei processi infatti, arrivano in udienza preliminare con un termine di prescrizione già decorso. Le indagini preliminari, mediamente, durano 4/5 anni.
Cosa fare se qualcuno fosse chiamato in causa penale?
Se un cittadino si trova ad essere indagato o imputato in un procedimento penale, deve ovviamente rivolgersi ad un avvocato al fine di essere tutelato e rappresentato in giudizio. Come suggerisce Barbara, è suo diritto difendersi.
Potrebbe riassumere le fasi di un processo penale?
Le fasi di un processo penale sono generalmente tre: la fase delle indagini preliminari, nel corso della quale il P.M. procedente svolge le sue investigazioni e vige il segreto d’indagine. In questa fase, l’indagato può non sapere di essere iscritto nel registro degli indagati, anzi generalmente non ne è a conoscenza, almeno fino a quando il P.M. procedente emette l’avviso della conclusione delle indagini preliminari, ex art. 415 bis c.p.p., e glielo notifica. Da quel momento l’indagato ha venti giorni di tempo per difendersi, dopo aver ovviamente preso cognizione di tutti gli atti d’indagine. Questo avviso di conclusione delle indagini preliminari è il preludio ad una richiesta di rinvio a giudizio perché, nel caso in cui il P.M. procedente decidesse di richiedere l’archiviazione del procedimento, non comunica all’indagato la chiusura delle indagini. Certo, il P.M. all’esito della difesa espletata dall’indagato potrebbe richiedere l’archiviazione ma ciò avviene di rado. Allorquando poi il P.M. avanza la richiesta di rinvio a giudizio, trasmette il fascicolo al G.I.P. che fissa l’udienza preliminare. In questa fase il G.I.P. diviene G.U.P. (Giudice dell’udienza preliminare) e all’esito di questa udienza il Giudice dovrà valutare se ci sono gli elementi per sostenere l’accusa in giudizio (per intraprendere il dibattimento) e quindi emetterà il decreto che dispone il giudizio, ovvero, in caso contrario, emetterà una sentenza di non luogo a procedere. Tale ultima ipotesi è molto rara in quanto generalmente l’udienza preliminare, nonostante ogni sforzo difensivo, si risolve in un mero “passaggio”, svuotando in tal modo la funzione di udienza filtro. Vi sono anche ipotesi di reato (meno gravi) per i quali non è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare (e quindi il vaglio del G.U.P.) ma la citazione diretta a giudizio e pertanto, si procede direttamente al dibattimento. L’ultima fase è appunto quella del dibattimento, luogo deputato alla formazione della prova in contraddittorio tra le parti. Chiusa l’istruttoria dibattimentale, dopo anni di processo, il Giudice (o il Presidente se si tratta di un Collegio) dà la parola alle parti per rassegnare le conclusioni (requisitoria P.M., conclusioni della parte civile se costituita e discussione della difesa) All’esito della camera di consiglio, il Giudice emette il dispositivo di sentenza (di assoluzione o di condanna ed in tal caso la quantificazione della pena) riservandosi la stesura delle motivazioni in un termine che indicherà (15 giorni 30 giorni, 45 giorni e comunque non oltre i 90 giorni).
Fonte: https://www.prontopro.it/NA/napoli/avvocato#pro-interview